Egr. Sig. direttore,
Le verità che la pandemia sta portando alla luce possono favorire un nuovo esame di realtà, aprire uno sguardo lungimirante sulla condizione umana nel tempo presente, incrinare la diga ideologica che ormai da decenni induce ad accettare come dogmi di fede rapporti sociali ed economici che stanno producendo la concentrazione delle ricchezze e del potere, l’impoverimento di una larga parte dell’umanità, l’irreversibile compromissione dell’ambiente naturale.
Lo shock collettivo che sta scuotendo la comunità intera, come accade durante gli eventi bellici, può però creare le premesse di una nuova “narrazione di senso comune”, affrancata dai luoghi comuni e dalla vulgata servile del mainstream asservito ai poteri dominanti: una cesura netta fra il prima e il dopo, un riscatto da decenni di scivolamento sul piano inclinato del liberismo economico e sociale.
Rovesciando il paradigma dominante può tornare ad affermarsi la necessità di rilanciare l’intervento pubblico, contro l’ubriacatura delle privatizzazioni, a partire dalla sanità, dalla prevenzione, dalla ricostruzione di una struttura socio-assistenziale collassata dopo decenni di disinvestimento.
Può nascere nuova consapevolezza che è irrinunciabile un progetto di radicale riconversione ecologica dell’economia e che il tema della sicurezza, brandito dalla destra come una questione di ordine pubblico a forti tinte razziste e repressive, deve essere invece declinato come sicurezza sociale, come affermazione solidale dei diritti di tutti. E ancora, che l’autonomia differenziata, sostenuta indistintamente da centrodestra e centrosinistra, è sotto ogni aspetto una colossale boiata da seppellire immediatamente.
Può finalmente farsi strada la convinzione che i 120 mld di evasione fiscale annui non sono un dato fisiologico con cui convivere, ma una patologia di classe, una rapina che la parte più ricca della società perpetra ai danni della parte più povera.
Larghe masse di cittadini possono ora meglio comprendere che il costosissimo impiego di risorse dedicate agli armamenti e alle missioni militari all’estero deve essere revocato e dirottato verso l’implementazione dell’infrastrutturazione sanitaria, della ricerca e del sostegno al reddito di famiglie e lavoratori e che lo stesso ruolo dell’esercito deve essere trasformato, rendendolo un braccio operativo della Protezione civile.
L’occasione che si ripresenta al nostro popolo e a tutti i popoli d’Europa consiste nel prendere coscienza che tutto il corredo dei trattati europei non è altro che un attentato preordinato al welfare, ai salari, alla democrazia e ai fondamentali diritti di cittadinanza sanciti dalla Costituzione e che passata la bufera non si dovrà affatto ritornare alla distruttiva “normalità” precedente, ma si dovrà mettere mano ad un grandioso piano per il lavoro, sostenuto da un poderoso impiego di risorse, finanziato, guidato, controllato dalla mano pubblica, come scritto con lettere di esemplare chiarezza nell’articolo 41 della nostra splendida Costituzione.
Questa catarsi collettiva può davvero realizzarsi e cambiare profondamente la nostra vita.
Tuttavia la strada è irta di pericoli, perché l’incancrenirsi della situazione può trascinare con sé propensioni e tentazioni autoritarie gravi, limitazioni pesanti e con carattere permanente della democrazia, delle libertà e dello stesso assetto istituzionale.
Oggi viviamo in una condizione simile a quella di uno Stato di emergenza. E vi sono forze sociali che considerano questo esperimento come un investimento sull’assetto futuro del Paese.
Non c’è chi non veda come drastiche misure per la protezione della salute pubblica si impongano, ma non può sfuggire la pericolosità latente di una situazione che nei fatti si caratterizza come una sospensione della democrazia, dei diritti costituzionali, del funzionamento delle istituzioni democratiche: marginalizzazione del parlamento, limitazione della libertà di opinione attraverso il controllo dei social e il sequestro discrezionale delle fonti di informazione, tracciabilità degli spostamenti individuali, provvedimenti di limitazione progressiva delle libertà personali per mezzo di atti amministrativi, ecc.
Il protrarsi nel tempo di questa situazione rischia di assuefare i cittadini ad una condizione di vita coatta non più semplicemente emergenziale ma ad una dimensione permanente e strutturale dell’organizzazione sociale: una nuova Costituzione, profondamente mutata in senso autoritario, che soppianta quella esistente.
La tendenza chiaramente in atto, già prima del diffondersi del virus, era del resto quella di un progressivo collasso della democrazia rappresentativa: sistema elettorale maggioritario, soglia di sbarramento, diminuzione dei parlamentari, rimessa a tema del presidenzialismo.
Dall’Ungheria viene oggi un segnale preciso: il premier Orban fa approvare una legge che avoca al governo poteri che appartengono al parlamento, esattamente ciò che fecero Mussolini nel ’26 e Hitler nel ’33, segnando l’avvento del fascismo in Italia e del nazismo in Germania. Salvini e Meloni, certo non casualmente, applaudono estasiati.
Di fronte a questo possibile, catastrofico scenario è indispensabile sviluppare tutte le forme di interazione, di dialogo, di confronto, di proposta; evitare che l’emergenza si trasformi in una stasi del pensiero, in una colonizzazione dell’immaginario sociale, in un ripiegamento della vita nella sfera puramente privata, in un’abdicazione passiva alle proprie responsabilità, in una rinuncia alla lotta democratica, in un ripiegamento nella rassegnazione che solo un uomo forte, baciato dalla provvidenza, possa trarci dal guado.
Oggi più che mai serve affermare il valore della solidarietà e lo spirito di comunità come antidoti contro la paura, l’individualismo, la solitudine.
Partito della Rifondazione Comunista
Federazione di Brescia