Il nostro comportamento intorno al tema cruciale della formazione di un processo costituente della sinistra antiliberista soffre ancora – malgrado il chiaro esito del congresso e le inequivoche prese di posizione del segretario – di una schizofrenia che se non rimossa rischia di rimettere il partito in un cul de sac.

Andiamo con ordine.

Il manifesto del Brancaccio aveva posto con sufficiente chiarezza il tema di una rottura con la cultura e con le politiche del Centrosinistra. Di più. Soprattutto con Tommaso Montanari è venuto esprimendosi un giudizio di radicale discontinuità con il Pd, non solo di quello ammorbato dal verbo renziano, ma con tutto il Pd, approdato in ogni sua variante nel campo liberale.

Il rigoroso riferimento alla Costituzione e alla sua più radicale attuazione costituiva il discrimine culturale e programmatico sul quale forgiare una nuova aggregazione da giocare anche nelle ormai prossime consultazioni politiche.

Quello che è in seguito accaduto, con qualche responsabilità degli stessi estensori del manifesto, è che all’originale progetto si è sovrapposto il tentativo dei transfughi dal Pd, con l’ingombrante sovraesposizione di D’Alema e Bersani, di fagocitare quella possibile aggregazione, mutandone però sia l’impostazione programmatica sia quella politica, resuscitando proprio ciò che si voleva seppellire, vale a dire l’intenzione di ricostruire un altro centrosinistra, più o meno “ulivista”, una sorta di opa di segno rovesciato sul Pd, in funzione prevalentemente anti-renziana.

Il profilo politico di Articolo 1, Movimento dei democratici e progressisti, nato non casualmente solo dopo la sentenza con cui la Consulta restaurava il modello elettorale proporzionale, ha per protagonisti coloro che nel 2011, con in mano le redini del partito, concorsero alla costruzione di quello stato di eccezione che partorì – mallevadore Giorgio Napolitano – il governo bipartisan guidato da Monti, interprete ed esecutore fedele del memorandum intimato all’Italia dalla coppia Trichet-Draghi, il più devastante progetto di restaurazione politica e sociale nel segno del più rigido ordoliberismo, niente di meno che una radicale controriforma costituzionale, attuata manu militari.

Ci si rimbrotta che bisogna guardare al presente e non contare i globuli rossi dei propri potenziali compagni di strada. Ammesso (ma non concesso) che si debba obnubilare la memoria, anche la più recente, perché – dicono –  Parigi val bene una messa, rimane il fatto che Articolo 1 è quel soggetto politico che solo un paio di mesi fa decise di uscire dall’aula per abbattere il quorum necessario a consentire l’approvazione della nuova famigerata legge sui voucher al fine di evitare guai al governo “fotocopia” di Gentiloni di cui Mdp è una stampella! Il lupo perde il pelo…

Quanto a Sinistra italiana, ogni giorno che passa si capisce che, tirate le somme, pende da quella parte e che l’idea di un listone alla sinistra del Pd, quale che sia la sua impostazione programmatica, è la sirena a cui non saprà resistere, persino se la soglia di sbarramento per l’accesso al parlamento rimanesse al tre per cento.

Ma è proprio questo che non può essere in alcun modo da noi accettato.

Illudersi che qualche per altro improbabile formulazione programmatica (remember Prodi?) possa fornire l’alibi per l’ennesimo autolesionistico accrocchio è imperdonabile.

Eppure agisce carsicamente fra noi una coazione a riprodurre i vecchi vizi e a ripetere i vecchi errori.

Cerco di chiarire.

Ci sono pezzi di sinistra organizzata che si muovono fuori dal perimetro del Brancaccio che hanno con noi una superficie di contatto potenzialmente molto più ampia e meno ambigua di quanta non ve ne sia con altri che a parole affermano di condividere la necessità di una svolta ma che con tutta evidenza pensano e parlano d’altro.

Eppure noi prestiamo il massimo ascolto, sino allo sfinimento, all’acqua pestata nel mortaio da questi ultimi, mentre siamo sordi alla necessità di costruire un’interlocuzione seria con i primi.

Perché.
Ho un sospetto: la necessità di costruire anche in Italia, come accade nel resto d’Europa, uno schieramento coerentemente antiliberista, non è ancora condivisa senza riserve e dunque non è risolutamente praticata, da tutto il partito.

Maurizio Acerbo ha di nuovo ripetuto cose incoraggianti, anche nell’odierna relazione, ma si ha come l’impressione che l’inerzia delle cose vada da un’altra parte.

Prendiamo il caso siciliano.

Ho ascoltato con la rapita attenzione che si presta ad un thriller politico la comunicazione del segretario regionale siciliano di Rifondazione Mimmo Cosentino relativa alla costruzione della  lista “di sinistra” per le prossime regionali. E, francamente, non ho ancora capito come andrà a finire, benché paia a me chiarissimo che la lista capeggiata da Giuseppe Fava, largamente ipotecata dall’irruzione sulla scena di D’Alema e Bersani, sarebbe nulla più che una costola del Pd (nell’isola – per aggiungere bianco allo splendore – alleata con Alfano).

A dirlo non sono io ma, ogni giorno di più, proprio Fava che da quella parte palesemente pende.
Ora, chiedere a costui di ritrattare, come mi pare stiamo facendo, è come accontentarsi di un impacco caldo su una gamba di legno: Fava potrà dire quello che vuole (o, piuttosto, quello che gli conviene), ma prestare fede a qualsiasi dichiarazione che venga da quel pulpito è un puro auto-imbroglio.

E’ per me evidente che da quel caravanserraglio dobbiamo sganciarci.

Ma ecco il punto. Avere così a lungo traccheggiato con quella compagnia ci consegna tre scenari possibili: a) piegarsi alla solita logica politicista e stare (da impotenti gregari) nel mucchio, b) tentare un rassemblement raccogliticcio dell’ultimo momento, c) stare fuori dalla partita.

In realtà esisteva un’altra possibilità, che non mi pare sia stata esplorata: quella di un rapporto con i movimenti che nel tessuto sociale e politico della Sicilia si muovono, dal movimento No-Muos alla lista Sicilia libera e sovrana che ha costruito un programma politico di tutto rispetto e che ha come capolista Beppe De Santis, ex dirigente della Cgil.

Non averlo fatto ci relega in una invisibile terra di nessuno.

E’ possibile recuperare questo terreno?

Ho ascoltato compagni dire che il caso siciliano è un campanello dall’allarme in vista delle elezioni nazionali.

No! E’ un campanone con dentro un battacchio che produce un rumore assordante.

Noi non possiamo correre il rischio di diventare – per dirla con le parole di Maurizio Acerbo – “una delle gambe su cui poggia la rivincita personale di D’Alema e il suo riciclaggio nel gioco politico”.

In conclusione penso, per dirla papale papale, che noi dobbiamo rompere ogni indugio e prendere un’iniziativa diretta, senza attendere che siano le scelte di altri, da cui non possono sortire che pessime minestre riscaldate, a decidere della nostra collocazione.

L’iniziativa di cui parlo comporta che si cambi “forno” e si guardi a tutto il campo politico e sociale che dopo il referendum del 4 dicembre ha scoperto o ri-scoperto o finalmente capito la portata straordinaria di un progetto politico di respiro costituzionale e si dichiara disponibile ad un programma di salvezza nazionale che della Carta faccia, soprattutto per ciò che riguarda i rapporti economico-sociali, la bussola di un profondo processo di rinnovamento in radicale rottura con l’ordine di cose esistente.

Qualcosa di simile – per tagliare l’argomento con l’accetta – a ciò che in Francia ha fatto France Insoumise (la “Francia non sottomessa”) di Jean Luc Melenchon.

Ora, esistono in Italia interlocutori con i quali approfondire questa possibilità? Sì, esistono, purché si abbia il coraggio di guardare oltre il già fatto, il già sperimentato e (drammaticamente) consumato.

Da Eurostop a Confederazione per la liberazione nazionale a Sinistra anticapitalista fino ai tanti movimenti che calcano il sociale con pratiche oggettivamente anti-liberiste che nulla hanno a che spartire con la melassa politicante c’è molto da fare.

Si dirà che sussistono punti di dissenso. Sarà anche vero, e in parte lo è di certo, ma non ve ne sono anche in Rifondazione e spesso sulle medesime questioni? E sono forse questi più incomponibili del terreno paludoso e del vicolo cieco in cui i nostri attuali potenziali sodali ci vogliono cacciare?

Dobbiamo riflettere e decidere presto perché ci sono soglie oltrepassate le quali non c’è ritorno.

Dino Greco

Direzione Prc  8 Settembre 2017