E’ stato presentato il 6 luglio a Milano, da parte dell’AD Morelli, il piano di ristrutturazione del MontePaschi di Siena.
Il piano, riferito al periodo 2017 – 2021, prevede l’ingresso dello Stato nel capitale del gruppo per un ammontare di 5,4 miliardi (una quota pari a circa il 70%), la dismissione di sofferenze bancarie per 26,1 miliardi per via della ‘cartolarizzazione’, la ‘ristrutturazione’ della rete di filiali che, con 600 chiusure, saranno ridotte a 1400, ed esuberi per circa 5500 unità di personale. In compenso, il piano prevede un ritorno all’utile che, nel 2021, dovrebbe superare 1,2 miliardi (con un indice di redditività pari a ben 10,7%) e, negli auspici della dirigenza, il reingresso del titolo in borsa già a settembre. Mi pare che vi siano tutti gli ingredienti per poter rilevare quanto, al giorno d’oggi, politica e management d’impresa rappresentino un ambiente che lega la sua ‘riproduzione’ a effetti che si spera di realizzare grazie, soprattutto, alla divulgazione di annunci.
Di certo, nella vicenda vi è: 1) la drastica riduzione del numero di sportelli e la correlata ecatombe in termini di licenziamenti (o esuberi volontari, come si dice adesso, dato che il termine ‘proprio’ è impronunciabile, specie se vi è di mezzo l’intervento dello stato) che, si spera, dovranno essere ‘accompagnati’ mediante il ricorso allo speciale ammortizzatore costituito dal ‘fondo di solidarietà’; 2) il ruolo ‘passivo’ del governo in qualità di azionista di maggioranza del gruppo, il quale non pare intenzionato (nè è probabilmente in grado, per ‘forma mentis’ e interessi rappresentati) a concepire un strategia improntata a logiche diverse rispetto a quelle dell’impresa privata.
Di incerto vi è, invece: 1) l’entità del recupero di risorse che potrebbe scaturire dalla più grande operazione di cartolarizzazione di sofferenze bancarie mai attuata. Giova, sull’argomento, ricordare che la cartolarizzazione è un opaco strumento, con il quale il rischio finanziario è presente ma ‘non si vede’. Si tratta dello stesso strumento che, permettendo di spostare ‘all’esterno’ il rischio di credito, aveva in passato incentivato la ‘leva finanziaria’ e condotto alla grande recessione. In tale partita, il ruolo cruciale sarà giocato dall’informazione concernente la qualità degli attivi che verrà dispensata al pubblico di potenziali investitori/risparmiatori .
2) l’ottimistica previsione di un ritorno all’utile, con un robusto indice di redditività. Evidentemente si spera, per l’immediato futuro, nella materializzazione di un ritmo di crescita del paese ben sopra le attese fin qui preventivate. E’ vero che le più recenti stime previsive, preso atto del miglioramento della congiuntura generale, hanno portato un refolo di maggiore ottimismo; tuttavia si ponga mente al DEF 2017, redatto dal Governo, che parla di ‘un profilo di crescita del PIL nominale più elevato per l’anno in corso e più contenuto negli anni successivi’, tenendo conto pur senza ammetterlo (ipotesi mia), dell’impatto di intense correzioni dei conti pubblici in ossequio al ‘fiscal compact’.
Infine, sembra che la vera impellenza della politica e del management in questione sia, una volta diffusa la notizia del salvataggio, il ritorno in borsa del titolo MontePaschi nell’auspicio di un innalzamento della relativa quotazione. Con il che, non si fa che insistere su un modello di (blando) sviluppo che conta su un ‘traino’ dei consumi basato sul valore degli attivi finanziari (una forma di ricchezza che, sul piano fattuale, si caratterizza per la sua concentrazione in poche mani).
Neanche lontanamente si contempla un diverso modello di sviluppo, né un intervento con risorse pubbliche direttamente investite a favore della collettività. Per questo dovremo attendere novità dagli sviluppi del panorama politico. Novità che, purtroppo, al momento non si intravedono.
Sergio Farris