Su ‘Bresciaoggi’ del 02/07/2017, l’onorevole del ‘Movimento 5 Stelle’ Giorgio Sorial segnala, giustamente, il fatto che la Germania non rispetta la soglia del 6% di rapporto fra avanzo estero e prodotto interno lordo sulla media degli ultimi tre anni prevista nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Accusa così la Germania di concorrenza sleale nei confronti delle nostre imprese.
Peccato che, poi, aggiunga che l’unica soluzione per le imprese italiane e lombarde è aumentare l’esportazione. Afferma così che l’export ha rappresentato, (anche per le imprese bresciane) negli ultimi anni, una valvola di sfogo e quindi una boccata d’ossigeno. Qui la situazione si va alquanto a confondere. Sorial dice, citando uno studio della Confindustria Lombardia, che le nostre imprese guardano sempre più alle esportazioni (il che è oggettivamente vero), perchè costrette dalla concorrenza tedesca (il che, invece, non è). In realtà, se le imprese in questione riescono oggi a esportare di più, ciò è avvenuto, oltre che grazie alla migliorata congiuntura internazionale, al fatto che nonostante la Germania pratichi una ‘concorrenza sleale’ di prezzo, le imprese italiane si sono a essa accodate e contano di proseguire nel farlo. Si è trattato di una deliberata scelta. Le imprese hanno cioè puntato, complici tutti gli ultimi governi, su una competizione al ribasso incentrata soprattutto sul fattore lavoro, sul suo costo e i suoi diritti, leggasi ‘jobs act’
In effetti, la figura mostra che, sul punto, l’Italia mantiene nel tempo inalterata la propria posizione competitiva rispetto alla Germania, arrivando anche a guadagnare nei tempi più recenti, il che contraddice l’ipotesi del deputato Giorgio Sorial.
A ciò va sommato, tramite le politiche di austerità, il crollo delle importazioni, che ha riportato in attivo la bilancia dei pagamenti.
Tutto bene, dunque? Si può proseguire su questa falsariga? No, per più di una ragione. Gli avanzi della bilancia dei pagamenti ottenuti da un paese o, come è il caso che ci riguarda, da un’area economica (l’Eurozona), sono possibili solo se in altre aree del mondo si presentano corrispondenti deficits. In mancanza di sufficienti attività, occorrono dei prestatori di fondi che siano disposti a finanziare tali disavanzi (normalmente gli stessi paesi in avanzo). Ma tutto questo espone i paesi in surplus al rischio di fallimento dei paesi debitori e a una costante dipendenza dalla domanda estera, sulla quale i primi non possono influire (ad esempio nel 2009, al materializzarsi del crollo della domanda internazionale, il Pil tedesco fu abbattuto del 5%, quello italiano del 5,6%). Il perseguimento di una riduzione coordinata degli squilibri delle partite correnti a livello internazionale sarebbe una politica quanto mai razionale. Ma è esattamente l’opposto di quanto sta avvenendo in Europa, con in testa la Germania che non contempla minimamente la possibilità di un opportuno riequilibrio e la nostra miope classe politica che cerca di assicurare alle imprese le più profittevoli condizioni di ‘subfornitura’. Fermo restando che i salari non devono far registrare incrementi. Urge, pertanto, una consistente rappresentanza politica del lavoro.
Sergio Farris