Il socialismo senza la morale comunista non mi interessa. Noi lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro l’alienazione. Marx si preoccupava tanto dei fatti economici quanto della loro ripercussione sullo spirito e definiva questa ripercussione “fatto di coscienza”. Ebbene, se il socialismo non si preoccupa dei fatti di coscienza potrà essere un metodo di distribuzione, ma non sarà mai una morale rivoluzionaria”
(Ernesto “Che” Guevara)

Ernesto Guevara, il “Che” venne ferito e catturato a La Higuera (dipartimento di Santa Cruz) da un reparto antiguerriglia dell’esercito boliviano assistito da forze speciali statunitensi costituite da agenti speciali della CIA. Il giorno successivo, il 9 ottobre 1967 venne assassinato a sangue freddo su ordine del Presidente boliviano René Barrientos in accordo con la Casa Bianca e mutilato delle mani nella scuola del villaggio.

Il suo cadavere, dopo essere stato esposto al pubblico a Vallegrande, fu sepolto in un luogo segreto e ritrovato da una missione di antropologi forensi argentini e cubani, autorizzata dal governo boliviano di Sanchez de Lozada, nel 1997. Da allora i suoi resti si trovano nel mausoleo di Santa Clara di Cuba.
La figura di Guevara ha suscitato grandi passioni fra i rivoluzionari di ogni parte del mondo e ha resistito forse più di ogni altra all’usura del tempo: dopo la sua morte il Che è divenuto un’icona dei movimenti rivoluzionari di sinistra, idolatrato oltre che dagli stessi cubani e da quanti si riconoscevano nei suoi ideali.
Guevara nasce il 14 luglio del 1928, a Rosario, in Argentina, primogenito di Ernesto Guevara Lynch e di Celia de la Serna. Di famiglia agiata – il padre è costruttore edile – il giovane Ernesto cresce in una zona al confine con Brasile e Paraguay, dove i genitori posseggono una piantagione di erba mate.
Nel 1932 i genitori di Ernesto scelgono di trasferirsi prima a Cordova e poi ad Altagracia, dove il clima risponde alle necessità del primogenito che dal 1930 è afflitto da una forte forma d’asma.
Nei primi anni Quaranta, Ernesto legge con avidità molti classici delle letteratura mondiale presenti nella ricca biblioteca paterna: Baudelaire, Neruda, ma anche Freud.
In quegli anni, le condizioni economiche della famiglia precipitano ed Ernesto lavora nel municipio di Villa Maria, non lontano da Cordoba. Nel 1945 la famiglia Guevara si trasferisce a Buenos Aires, un’occasione per Ernesto che s’iscrive alla facoltà di medicina, mantenendosi con un impiego nel municipio di Buenos Aires e lavorando senza retribuzione nell’Istituto di ricerche sulle allergie. Ernesto non è uno studente “modello”: risponde all’ossessione per i voti alti dei colleghi approfondendo solo quel che ritiene utile alla formazione dell’individuo.
Intanto viaggia molto: Ande, in moto e bici, Caraibi, su un cargo che lo porta sino all’isola di Trinidad. Alla sete di conoscenza affianca una disposizione naturale all’altruismo. Nel ’51 parte per il Cile con il fedele amico Alberto Granados, ma non è un percorso come i precedenti: è una sorta di rivelazione, Ernesto inizia a tenere un diario, un’abitudine che lo accompagnerà per tutta la vita.
Lavora dove capita ed appunta tutto ciò che lo colpisce: le miserie umane (dello spirito, non finanziarie), l’emarginazione dell’individuo considerato improduttivo dalla società capitalistica (si veda la toccante esperienza della cura dei lebbrosi a Huambo). Tutto prende forma di prosa nella diaristica del futuro rivoluzionario (la prima edizione italiana di Lettere, diari e scritti è del 1967).
Dopo aver toccato Colombia, Venezuela e Miami torna infine in Argentina, dove supera in pochi mesi gli undici esami che gli restano. Si laurea con una tesi sull’allergia e riparte alla volta di Bolivia, Perù ed Ecuador, proseguendo poi per Caracas, dove incontra Ricardo Rojo, un esiliato argentino fuggito dalle carceri di Peròn.
Il militante gli parla della riforma agraria promulgata in Guatemala che ha espropriato 255.000 acri al colosso United Fruit Company. In quel preciso istante la vita privata e quella pubblica di Ernesto si fondono: la politica diviene la stella polare del ventiseienne medico argentino.
Nel 1954 il Che è in Guatemala, dove non può esercitare la professione medica, quindi per sbarcare il lunario collabora con diverse riviste politiche, non disdegnando un lavoro da ambulante. Legge Marx e Lenin, considerando i classici del marxismo il sale di una vita in continua evoluzione. Grazie a Hilda Gadea, che sposerà in Messico, conosce un gruppo di rivoluzionari cubani che gli parlano di Fidel Castro: iniziano allora a chiamarlo Che, un intercalare che rende riconoscibili gli argentini tra i sudamericani; con intelligenza ed ironia, Ernesto lo adotta come nome proprio.

Nel 1954 è in atto una strategia politica da parte della Cia e del Dipartimento di Stato statunitense per rovesciare dei governi democraticamente eletti: l’obiettivo dichiarato è contenere il “pericolo comunista”, in Nicaragua come nell’Honduras. Il Che si schiera con la resistenza armata, e pur sconfitto, rifiuta di rientrare in patria con un aereo inviato dal governo peronista.
Ernesto parte per il Messico dove nel 1955 conosce prima Raul Castro poi Fidel, ed nel mentre si forma con corsi di storia dell’economia cubana e di teoria militare. Cade però in una retata della polizia messicana, e dopo quasi due mesi di carcere riesce a raggiungere Cuba con 82 compagni.
Le forze di Batista intercettano i rivoluzionari: è una strage, riescono a fuggire solo in dodici, che fuggono nella Sierra Maestra. Quello sparuto gruppo di guerriglieri troverà nel Che una guida. Nominato Comandante da Fidel il Che prenderà il comando della quarta colonna. Da allora, fino al maggio ’58, la colonna Guevara costruirà presidi ospedalieri, stamperà un giornale, trasmetterà su una radio libera, continuando sempre a combattere la dittatura di Batista.
I guerriglieri cresceranno di numero, riuscendo a respingere una grande offensiva dell’esercito di Batista (10.000 uomini non riuscirono ad aver la meglio sui castristi). Tra dicembre 1958 e il gennaio successivo è proprio Guevara a lanciare l’offensiva decisiva all’Avana. Il 2 gennaio il Che entra nella capitale da liberatore e nel mese successivo gli viene conferita la cittadinanza cubana per i servizi resi alla rivoluzione. Inizia una nuova era: Fulgencio Batista fugge in Repubblica Dominicana e gli USA divengono il primo nemico della Cuba rivoluzionaria.
Tra giugno e novembre Guevara parte per un viaggio ufficiale: visita i principali Paesi non allineati, parla con i leaders mondiali e firma accordi commerciali. Al rientro a Cuba, diviene presidente del Banco nacional, ristrutturando il settore del credito statale e creando delle scuole di formazione per funzionari e quadri politici.
Ad inizio anni Sessanta, Cuba firma molteplici contratti bilaterali con Paesi appartenenti al blocco socialista, non dimenticando l’agenda della politica interna che vedeva il tema dell’istruzione tra i primi punti d’interesse. Il tutto avviene con una Cuba sotto attacco: nell’aprile ’61 gli USA finanziano alcuni mercenari che falliscono miseramente nei loro propositi di rovesciare il governo rivoluzionario.
A quel punto, il governo cubano si tutela stringendo accordi sempre più vincolanti con l’URSS che propone l’invio di missili a Cuba. Allo schieramento dell’arsenale, il presidente USA Kennedy minaccia lo scoppio di una guerra mondiale se Mosca non ritirerà le forniture. La crisi rientrerà con un compromesso tra le grandi potenze (USA-URSS).
Dalla metà degli anni Sessanta gli incontri si moltiplicano, il Che ha grandi responsabilità politiche: rappresenta – per fare solo un esempio – la nazione cubana all’assemblea dell’ONU del dicembre 1964. Non è però quella la dimensione che Ernesto predilige. Non è da uno scranno parlamentare, o simili, che la sua voce può essere udita meglio.
Il Che sente allora il bisogno di ripartire dal basso, dai luoghi delle origini, da un tempo lontano, che ha preceduto l’incontro con Cuba. Rientrato da Praga, nel marzo del 1965, Ernesto appare pubblicamente per l’ultima volta in una manifestazione ufficiale.
Pur non esistendo un documento che sciolga il dubbio, anche solo attraverso un banale processo controfattuale degli eventi, la scelta del Che sembra coerente con un’esistenza all’insegna della generosità. Guevara era certamente un uomo fuori dal comune, dalle straordinarie doti umane, che lo rendevano per certi aspetti non del tutto compatibile con qualsivoglia forma di potere. Nel novembre del 1966 il Che è in Bolivia, in piena selva, nella provincia di Cordillera, alla guida di un gruppo di guerriglieri.

In Bolivia è in atto una dura repressione ai danni delle sinistre, anche il Partito comunista boliviano, il Por, viene messo fuori legge. Gli ufficiali dell’esercito hanno una conoscenza minuta di un territorio non così esteso, ed i guerriglieri sono braccati, cadendo non di rado in imboscate. Esiste inoltre una questione non considerata del tutto dal Che: gli infiltrati non sono pochi, e non mancano agenti della Cia, che comprano informazioni per un pugno di dollari.
Ma non basta, nel giugno del 1967, il governo boliviano proclama lo stato d’assedio arrestando tutti i principali leaders sindacali: il cerchio si stringe, Guevara perde uomini in imboscate logoranti che lo privano dei migliori.
Il 26 settembre 1967 il gruppo del Che cade in un’imboscata, Guevara resiste altre due settimane, senza medicine che possano calmare gli attacchi asmatici. Infine, l’8 ottobre, viene colpito da una raffica di mitra e catturato vivo. Verrà freddato con un colpo di pistola al cuore nelle ore successive. Il 10 ottobre il corpo martoriato del Che viene mostrato ai giornalisti in un rituale macabro che non riuscì però a scalfire l’impatto simbolico dell’immagine immortale di un Che sempre giovane.

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