Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire

(Jean Paul Sartre)

Si invitano i lettori a far pervenire il proprio commento all’aforisma della settimana.
Il commento sarà pubblicato sul sito.

Il 28 luglio del 1914 inizia la Prima Guerra Mondiale, il primo grande conflitto inter-capitalistico, il primo atto della guerra civile europea.
Una spaventosa mattanza, voluta dalle classi dominanti sia per creare sulla carta nuove e artificialissime nazioni.
Sui prodromi della guerra esiste una vasta letteratura storica. Le classi dirigenti vennero prese da una sorta di follia collettiva, che si univa agli interessi, industriali e no, di gran parte di esse, a scatenare il conflitto, e forse persino a prolungarlo. Da follia vennero presi anche Mussolini e d’ Annunzio, i quali furono interventisti, per spregiudicata ambizione il primo, per idealismo e superomismo il secondo.
Per la prima volta, salvo le controversie teologiche dei primi secoli del cristianesimo, il nemico incarnò il Male Assoluto.
La dimensione contagiante della pazzia guerrafondaia fu enorme e i pacifisti delle due parti rischiavano concretamente la condanna a morte per alto tradimento.
Un discorso a sé meritano le caste militari. I comandanti dell’esercito e gran parte dei generali e molti ufficiali erano macellai dominati da un insieme di ottusità e ferocia. Basta, per comprenderlo, leggere una biografia di Cadorna, che guidava il nostro esercito, fatto da contadini trascinati dalle campagne nelle trincee e sacrificantisi inutilmente; o una storia della rotta di Caporetto. I veri nemici degli uomini che morivano in trincea erano i marescialli e i generali.
Essi di continuo comandavano di sparare sulle truppe proprie, persino di bombardarle, sol se esitassero a uscire dalle trincee per esporsi all’artiglieria e ai gas e a una morte certa. Un piccolo, aureo libretto di Emilio Lussu, Un anno sull’ altipiano, racconta la vita quotidiana nelle trincee, i soldati mandati a morire per ostinazione e capriccio, la vanità dei generali quasi crescente col crescere del numero di caduti propri.
La prima guerra mondiale è stato uno dei conflitti più sanguinosi dell’umanità. Nei quattro anni e tre mesi di ostilità persero la vita circa 2 milioni di soldati tedeschi insieme a 1 110 000 austro-ungarici, 770 000 turchi e 87 500 bulgari; gli Alleati ebbero all’incirca 2 milioni di morti tra i soldati russi, 1 400 000 francesi, 1 115 000 dell’Impero britannico, 650 000 italiani, 370 000 serbi, 250 000 rumeni e 116 000 statunitensi. Considerando tutte le nazioni del mondo, si stima che durante il conflitto persero la vita poco meno di 9 722 000 soldati con oltre 21 milioni di feriti, molti dei quali rimasero più o meno gravemente segnati o menomati a vita. Migliaia di soldati soffrirono di lesioni di tipo inedito, studiato per la prima volta proprio nel primo dopoguerra, consistente in una serie di traumi psicologici che potevano portare a un completo collasso nervoso o mentale: designata come “trauma da bombardamento” o “nevrosi di guerra”, costituì la prima teorizzazione del disturbo da stress post-traumatico.
L’enorme perdita di vite umane provocò un grave contraccolpo sociale: l’ottimismo della Belle Époque fu spazzato via e i traumatizzati superstiti del conflitto andarono a formare la cosiddetta “generazione perduta”.
I civili non furono risparmiati: circa 950 000 morirono a causa delle operazioni militari e circa 5 893 000 persone perirono per cause collaterali, in particolare carestie e carenze di generi alimentari (condizioni sofferte in particolare dagli Imperi centrali, sottoposti al blocco navale alleato), malattie ed epidemie (particolarmente grave fu quella della cosiddetta “influenza spagnola”, che mieté milioni di vittime in tutto il mondo) e inoltre per le persecuzioni razziali scatenatesi durante il conflitto.