Vi è stata mercoledì scorso, alla festa provinciale del Partito Democratico di Brescia, un’improvvisata del segretario del PD Matteo Renzi, il quale ha presentato il suo libro intitolato ‘Avanti’. E’ stata l’occasione per saggiare, soprattutto in vista delle prossime elezioni politiche, l’attuale ‘veste’ del segretario, dimessosi come ben sappiamo lo scorso dicembre da Presidente del Consiglio. Ebbene, a parere di chi scrive, è mancata la doverosa presa di distanza dagli errori del passato, rispetto ai quali si è semmai assistito ad un atteggiamento di conferma. L’unico ‘atto di contrizione’, specioso e del tutto fuorviante, da parte del riconfermato segretario, è stata in proposito l’ammissione di avere presentato in modo eccessivamente semplicistico, durante l’esperienza di governo, le ‘genuine’ idee alla base delle politiche allora implementate.

Ebbene, è così: intervistato dalla direttrice del Giornale di Brescia, Nunzia Vallini, Renzi ha inanellato (inframezzandovi le sue istrioniche interazioni immediate con i ‘fedeli’) una sequela di affermazioni, spesso al limite della contraddizione (se non proprio contraddittorie). Segno inequivocabile del malcelato intento di ‘coprire’ i vari campi di orientamento elettorale indulgendo ad irrazionali umori precostituiti piuttosto che assolvere alla funzione pedagogica che una politica ‘alta’ dovrebbe porsi quale obiettivo.

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Abbiamo fatto bene a ridurre il deficit ma l’austerità genera povertà

Il primo argomento trattato è stato quello, menzionato nel libro, di un patto fiscale virtuoso con l’Unione Europea. Sul tema, Matteo Renzi ha abbaiato (senza mordere, dato che, sotto il suo governo il deficit del bilancio pubblico è stato ridotto) come diverse volte aveva fatto da Palazzo Chigi, che l’austerità richiestaci dalla UE genera povertà. Ecco allora la proposta: portare per alcuni anni al canonico 3% il rapporto fra deficit nominale e Pil (il che, ai sensi del ‘Fiscal compact’ non è concesso) e sfruttare questo margine per fare investimenti. Giusto. Non è molto ma è qualcosa. Soltanto che, il segretario, si era appena lanciato nel sempiterno motto dell’abbassamento generalizzato delle tasse e nella sempiterna esecrazione del debito pubblico, peso lasciato dai politici crapuloni sulle spalle dei giovani (dimostrando, su questo specifico contenuto, alcuni limiti teorici). Siccome il margine di deficit auspicato corrisponde a diversi miliardi ma non è infinito, appare oggettivamente difficile concepire che provvedimenti espansivi di spesa, di abbassamento del carico fiscale e, contemporaneamente, di straordinaria riduzione del debito pubblico possano conciliarsi e dar luogo all’auspicato impulso all’economia che da anni non si vede. Tanto più se si ricorda che nel 2014 il nostro deficit nominale è già effettivamente stato del 3% sul Pil, nel 2015 e nel 2016 sono stati chiesti e ottenuti margini di ‘flessibilità’ per ‘giungere’, rispettivamente, al 2,6% e al 2,4%, senza apprezzabili effetti sulla domanda interna. Il fatto è che una vera contesa con la UE andrebbe aperta sia sul fiscal compact che sul patto di stabilità e crescita. Con un tanto di flessibilità non si fa molta strada. Anche i muri sanno che il vero problema con la UE è la sua ‘struttura’ ideologica, e di conseguenza, istituzionale e normativa, costruita intorno agli specifici interessi di imprese transnazionali e finanza. Ma questo nessuno, all’interno del PD, lo dirà mai. La linea è sempre: le regole sono sbagliate ma le rispettiamo. Porterà voti?

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Sono europeista ma basta soldi all’Europa

Dopo una proclamazione di fede all’Europa unita (ci ha dato 70 anni di pace), il discorso è passato all’annosa questione dell’immigrazione. Renzi ha detto che il salvataggio dei naufraghi è un dovere umanitario e l’accoglienza una questione di cultura. Bene. Bravo. Bis. Ma ecco, subito dopo, l’apertura ‘a destra’. Non tutti possono essere accolti. Bisogna aiutarli a casa loro. Occorre poi che i migranti, una volta giunti in Italia, proseguano verso altri paesi (come se ciò non avvenga già), i quali se ne devono fare carico. Se altri paesi erigono muri per evitare l’accoglienza, noi non finanzieremo più l’Unione Europea. Figurarsi se un politico che in tre anni di permanenza al governo ha una o due volte abbaiato senza mordere contro la UE in punto di austerity, può risultare credibile quando l’abbaio minaccia addirittura di ‘chiudere i rubinetti’ che alimentano il bilancio europeo. Comunque, questa è stata la ‘sparata’ che ha riscosso l’applauso più fragoroso.

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Antipolitica: l’innominabile detto

Riguardo alla vicenda dell’approvazione parlamentare, in prima lettura, del disegno di legge Richetti in tema di vitalizi del membri del Parlamento, il segretario ha dichiarato che non si è trattato di un cedimento all’antipolitica. ‘Noi, a differenza dei 5 stelle, le cose le facciamo, non ci fermiamo alle chiacchiere’. ‘Le battaglie si fanno perchè ci si crede’. La domanda sorge spontanea: ma non era lui il rottamatore per eccellenza, quello che per non restare indietro rispetto all’antipolitica dei 5 stelle (che tanto successo ha ottenuto) aveva promesso la demolizione della casta politica? Il messaggio propriamente decrittato è: l’antipolitica è giusta e noi siamo ‘antipolitici’ come loro. Ma noi la pratichiamo sul serio. Il che si riduce a una contesa relativa alla misurazione dell’efficacia rottamatoria.

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Il bonus è buono e giusto

Uno degli emblemi dell’odierno degrado della politica (ridotta a mera tecnica di attrazione del consenso) è l’erogazione di benefici, a favore di determinate categorie di cittadini, che prescindono da qualsivoglia criterio di bisogno effettivo. Il segretario del PD ha allora vantato come un successo il provvedimento, azionato dal suo governo, di elargizione del ‘bonus cultura’ da 500 euro a 350000 soggetti titolari del requisito di essere ‘diciottenni’. Non aggiungiamo altro.

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Volevo andare via ma sono stato ‘costretto’ a restare

Il culmine della commedia recitata dal segretario del PD, é stata la dichiarazione che, dopo la sconfitta al referendum di dicembre (che concerneva una riforma ‘giusta’), non si é ritirato dall’attività politica perché tanti gli hanno chiesto di continuare. Quando si dice ‘un obbligo’! E poi ha ricevuto 2 milioni di voti alle primarie (come se questa prassi costituisse un’unzione divina). Non aggiungiamo altro.

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Il referendum sull’autonomia promosso da Maroni è inutile, quindi votate sì

Renzi, a questo proposito, si è pronunciato in modo favorevole circa le istanze di maggiore autonomia provenienti dalla Regione Lombardia. Però, ha detto, il referendum è inutile. Sarebbe stato meglio indirizzare quelle risorse alle scuole, ma, dato che il referendum si fa, votate sì. Non aggiungiamo altro.

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Il cerchio si chiude

Ricapitolando: antipolitica, pulsioni antimmigrazione, abbassamento delle tasse (il PD è disponibile ad alleanze solo con chi diminuisce le tasse). Una miscela di enunciati finalizzati alla cattura trasversale del consenso. Renzi presenta il partito che guida come unica scelta alternativa rispetto ai populismi di Grillo e di Salvini, senza ammettere di averne in gran parte interiorizzato posture e programmi.

Di lavoro povero, dequalificato, e precario neanche a parlarne. A determinare un ‘importante’ effetto occupazionale, e di benessere diffuso, ci sono già il ‘jobs act’ (rivendicato da Renzi) e le elargizioni pecuniarie ad aggio delle imprese. La questione sociale è bandita dall’orizzonte dei problemi del paese individuati dal PD. Semplicemente, non esiste.

Di fondamenta ideologiche insite nella temperie culturale tuttora dominante nel Partito democratico, nessuna traccia esplicita. E soprattutto, nessun ripensamento, nessuna rielaborazione di segno critico nonostante il palese effetto sull’aumento delle disuguaglianze che tali fondamenta implicano. E’ sempre così: chi meglio di una forza politica in apparenza deideologizzata può condurre a compimento l’offuscamento della coscienza di massa, così da consolidare l’humus ideale per gli interessi che realmente rappresenta? Il che, per un partito che continua a definirsi di sinistra, che il campo della sinistra vorrebbe presidiare e che si pone per fine il ‘cambiamento delle cose’, è piuttosto grave oltre che singolare.

Sergio Farris