In ottobre si svolgerà con voto elettronico (anche se non è chiaro cosa questo significhi) il referendum consultivo per l’autonomia fortemente voluto dall’attuale presidente della Regione Lombardia, il leghista Roberto Maroni. Un analogo referendum sull’autonomia si terrà in Veneto. Maroni ha da subito auspicato che se si andasse a elezioni politiche anticipate, il referendum dovrebbe avere luogo lo stesso giorno e non ha escluso neppure che anche in Lombardia si possa andare a elezioni regionali anticipate. Al di la delle ragioni politiche per cui si lancia in queste affermazioni bisogna considerare che il costo di questo referendum consuntivo a carico della regione Lombardia sarebbe circa di 50 milioni di euro, in questi momenti un’enormità, e quindi ben si capisce la preoccupazione di Maroni di rilasciare delle dichiarazioni che dimostrino agli elettori la sua parsimonia, dando la sua disponibilità a unire le scadenze elettorali.
In ogni caso molti cittadini hanno già fatto osservare che se Maroni avesse voluto fare veramente un lavoro serio per l’autonomia lo avrebbe fatto subito (utilizzando le procedure previste dall’art. 116), senza perdere tempo e sprecare soldi, all’inizio del suo mandato e non adesso, a qualche mese dal voto. Il sospetto che si tratti solo di azione propagandistica di parte realizzata con fondi pubblici appare infatti molto diffusa tra gli elettori.
La lega giunge a questo referendum divisa dalla sterzata Lepenista data dal nuovo capo Salvini che ha di fatto fortemente ridimensionato l’ipotesi federalista/secessionista di Bossi. Una operazione tutt’altro che indolore. Infatti mentre l’ipotesi sovranista/nazionalista prendeva piede il radicamento leghista nelle tradizionali roccaforti delle provincie del nord si è considerevolmente affievolito. Oggi la lega non governa più nessun capoluogo di provincia in Lombardia (ha perso anche Varese), e nelle ultime amministrative ha perso alcune delle roccaforti storiche come Caravaggio nel bergamasco dove aveva sfiorato in passato percentuali oltre il 60% dei consensi. Nel Bergamasco ormai molte roccaforti storiche sono infatti state perse dalla lega: Albino, Clusone, Dalmine, Romano, Albano, (dove alle recenti amministrative la Lega dopo aver amministrato per 10 anni si è attestata poco sopra il 7%) o vinte per pochissimo (100 voti di scarto a Seriate) o riconquistate per errori paradossali del PD (Alzano Lombardo).
Dopo le recenti “primarie leghiste” che hanno confermato la leadership di Salvini sono stati forniti i dati della partecipazione. Nella provincia di Bergamo, tradizionale territorio leghista che ha più di un milione di abitanti (dove in passato i dati di iscrizione al movimento di Bossi erano sopra i 5000 militanti), hanno partecipato alle primarie poco più di 1000 militanti, su circa 2000 iscritti dichiarati. In città (120.000 abitanti) all’incirca 50 persone, meno degli iscritti che ha in città il PRC!
La nuova posizione Lepenista ha quindi consentito il radicamento a livelli nazionali ottenendo anche una concreta crescita di consensi elettorali, ma ha al contempo scardinato il suo insediamento militante nelle regioni del Nord, e in particolare in Lombardia. Dobbiamo inoltre rilevare sulla proposta di Maroni una certa freddezza delle componenti più vicine a Salvini, che non sembrano gradire molto questa ripresa di attivismo sui temi secessionisti/autonomisti che sembrano ridare spazio politico ai componenti del cerchio magico di Bossi oggi emarginati (Castelli, Stucchi, Calderoli, ecc).
Infatti mentre è partita subito la campagna di pubblicità sul referendum della regione, stranamente per ora sul territorio, al contrario del solito, sono state organizzate poche iniziative e di basso profilo in genere nell’ambito delle poche feste della Padania rimaste.
Entrando nel merito.
Come dicevo la percezione che si tratti di un finto referendum è assai diffusa tra gli elettori, dà fastidio che il referendum sia consultivo e su un tema che tutti sanno non è nella potestà della Regione. Molti sostengono che se anche Maroni ottenesse una vittoria questa sarebbe puramente di tipo propagandistico in quanto non avrebbe le competenze istituzionali per modificare nulla.
Inoltre dopo la presa di posizione a favore del si di Forza Italia e di molti sindaci del PD circola anche una certa irritazione per il fatto che pur essendo d’accordo non abbiano agito ieri a livello istituzionale per ottenere maggiore autonomia per la regione, e invece oggi spendano 50 milioni di euro per una consultazione farlocca dei cittadini. Soldi che molti sostengono si potevano meglio spendere per esempio su alcuni settori della sanità, per sistemare la viabilità o i trasporti pubblici (non dimentichiamo che per carenza di fondi il servizio di trasporto pubblico è stato letteralmente falciato con riduzione dei mezzi e delle corse).
Se vince il si Maroni oltre a trarne un immediato vantaggio propagandistico per la sua futura campagna per essere ricandidato alla presidenza della regione Lombardia, utilizzerà anche il risultato per creare una cortina fumogena per nascondere ai cittadini i suoi guai giudiziari.
L’altro risultato concreto che può sperare di ottenere è quello di rafforzare la nota tesi leghista dell’autonomia regionale, che tradotta concretamente è la nota tesi che i soldi dei lombardi devono restare in Lombardia. Questione che però detta da uno che nulla ha mai fatto per opporsi ai tagli al bilancio di provincie e regioni derivanti dall’austerità e dalle politiche di pareggio di bilancio appare veramente a molti come una presa in giro.
Visto comunque in Lombardia la rilevanza delle forze politiche che si stanno schierando per il si (Lega, FI e molti sindaci del PD – a iniziare dal futuro candidato alla regione del PD il sindaco di Bergamo Giorgio Gori – che pare prenderanno una posizione diversa dal PD che ufficialmente si asterrà) appare già chiaro da adesso che comunque questa posizione prevarrà.
Ricordo che alle ultime elezioni regionali le due liste leghiste presero circa il 23% dei voti (Lega Nord 12,96 e Maroni Presidente 10,22), il PDL il 16,63 e i loro alleati minori circa il 3% per un totale di circa il 42%. Da questo punto di vista possiamo dire che alla lega piace come nella pubblicità “vincere facile”. La vera questione è infatti non chi vincerà, ma quanti andranno a votare.
La vittoria dei si sarà politicamente importante per la lega se riuscirà a portare al voto molti più elettori rispetto a quelli del suo tradizionale bacino elettorale. Più questo scarto tra bacino elettorale leghiste e partecipanti al referendum sarà ampio e tanto più avrà dimostrato che il tema autonomista è un tema che travalica l’aerea del suo insediamento elettorale e quindi riguarda l’agenda di tutte le forse politiche, in sostanza potrà imporlo come il tema centrale e ineludibile nella prossima campagna elettorale regionale. E proprio nell’eventualità che si verifichi una tale evenienza, e quindi per sfilare a Maroni la possibilità di interpretare così l’eventuale vittoria dei si, che i sindaci del PD hanno deciso la mossa poco ortodossa di schierarsi anch’essi per il si.
Siccome l’obiettivo reale di Maroni (propagandistico e di merito) verrà raggiunto se si recherà a votare un numero di persone più alto della percentuale di elettori leghisti e possibilmente più alta del 50% della platea elettorale la mossa dei sindaci del PD appare francamente temeraria e controproducente.
Certo se i votanti saranno pari o di poco superiori a quelli della Lega il referendum si potrà dire fallito e una percentuale più bassa degli elettori leghisti vorrebbe dire la fine di ogni propensione autonomista/secessionista al nord (cosa che tra l’altro come abbiamo detto magari qualcuno auspica anche in casa leghista).
La partita si giocherà quindi non nel conteggio dei si e dei no, ma sulle percentuali di elettori che Maroni saprà portare a votare. Se questo è lo scenario appare del tutto inutile promuovere dei comitati per il no. Infatti alla fine viste le condizioni vinceranno i si e quello che sarà rilevante e il numero dei cittadini che si saranno recati a votare dimostrando che il tema autonomista rimane centrale in Lombardia. La presenza di un fronte che invitasse ad andare a votare NO potrebbe animare una discussione referendaria che oggi si preannuncia incomprensibile e monotona. Il referendum propone infatti un tema che oggi, contrariamente a un decennio fa, non pare interessare molti elettori e che non pare in grado nemmeno di rivitalizzare le ormai scarse truppe militanti leghiste, oggi assai più propense a inseguire profughi e zingari in nome dei valori cristiano occidentali. Proporre di votare no potrebbe quindi attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sul referendum esponendoci al rischio di lavorare per il re di Prussia. Certo appare assai più pagante sostenere la posizione dell’astensionismo, tenendo anche conto che oggi questa sui social midia appare di gran lunga la posizione dominante tra gli elettori di sinistra e non solo di sinistra. Infatti così a livello locale pare orientato lo stesso PD (fermo restando il fatto che furbescamente per sicurezza poi tiene un piede, con i sindaci, anche nel fronte del si). Alla fine il modo più razionale, ed efficiente, per combattere le destre appare quello di fare campagna per l’astensionismo, denunciando che si tratta di un referendum finto, inutile e, per di più costoso per i contribuenti. Alzare la percentuali dei votanti anche se di poco, non avendo possibilità di vittoria, è un piacere che facciamo a Maroni.
Francesco “Coco” Macario
Segretario provinciale della federazione del Prc/SE di Bergamo
Bergamo 13 luglio 2017